A pochi giorni dalla scomparsa di Amalia Signorelli, riportiamo il ricordo di una nostra dirigente delle Acli Colf, Anna Cristofaro che ha avuto il piacere di poterla conoscere.
È vero che sono di parte e che dentro c’è
un carico emotivo fortissimo. Ma messo questo in premessa, non intendo qui
portare il mio ricordo di allieva, perché sarebbe fuori contesto. Né credo
serva a molto (qui e ora) ripercorrerne i meriti accademici. Basti dire che
tutta la sua produzione scientifica si pone nel solco dell’antropologia
culturale, che molti dei suoi studi sono considerati fondativi, che nell'arco
di tutta la sua carriera accademica ha scelto temi di ricerca (le migrazioni,
la condizione femminile, le trasformazioni urbane, i processi di cambiamento
culturale) di cui fosse immediata e evidente la connessione con qualcosa che
stava accadendo nella società contemporanea, fino ad arrivare agli ultimi anni
in cui (con altrettanto rigore, ma anche con sorriso divertito) ha proposto in
TV e sulla stampa interpretazioni antropologiche dei fatti politici e di
cronaca. Piuttosto vorrei lasciare traccia di come la sua competenza sia stata
utile alla riflessione delle Acli Colf. Non credo di poter dire che insieme
abbiamo compiuto un percorso condiviso. Al contrario, quella semina che pure
costò molto impegno rimase per lo più incompiuta. Ma tentammo, questo sì, la
ricerca di un metodo, prezioso,
fecondo, ovvero la costruzione di un dialogo tra ricerca e problemi. E lo facemmo insieme.
La invitammo come relatrice in occasione
di un percorso formativo destinato alle dirigenti dell’associazione e centrato
sul tema del conflitto interetnico. Il
tema era profondamente nostro e inteso
non in termini generali, ma a partire dall'analisi di una situazione concreta:
la casa come territorio di confine e
di incontro tra culture diverse.
La consegna era: non basta volere la convivenza pacifica perché
questa avvenga. Occorre invece
conoscere la situazione e costruire una strategia. E da questo punto di vista la
competenza antropologica è molto utile.
Le riflessioni che condivise con noi quel
giorno si trovano in "L'ambiguo
rispetto. Riflessioni antropologiche sugli incontri culturali". Di
questo saggio, ricco di suggestioni ancora tutte da sviluppare, vorrei qui
sottolineare due punti, uno propedeutico di ordine epistemologico e uno
conseguente di ordine etico e politico.
I termini del problema epistemologico sono
ben noti. L'errore più comune è quello di considerare la cultura altra come entità compatta, solida, congruente. Le
culture sono differenziate al loro interno, articolate, stratificate come le
società cui ineriscono. Nessuna cultura è statica, inerte, immutabile. Si
tratta di elementari nozioni di dinamica culturale di cui si dovrebbe tenere
conto quando si invoca il rispetto delle culture altre. Giacché bisogna
chiedersi: quale cultura rispetteremo? Quella degli uomini o delle donne, dei
giovani o degli anziani? Quella dei ricchi o dei poveri?
E siamo così passati al secondo livello
del discorso, al che fare e come farlo. Con quella rara capacità di andare al
cuore delle cose, scrive: "Devo confessare che non capisco bene cosa voglia dire rispettare le culture altre, ed è comunque un'espressione che
mi evoca riserve indiane, giardini zoologici e depliant esotizzanti. Non è
pensabile, non è stata mai verificata sul terreno della ricerca empirica la
coesistenza di due culture che, giustapposte, non si influenzino e modifichino
a vicenda. L'ibridazione, la sincretizzazione, l'innesto non solo sono
inevitabili, sono segni di vitalità. La produzione culturale meticcia è la sola
via di uscita concreta al dilemma dell'assimilazione espropriatrice da un lato,
e della ghettizzazione escludente e stigmatizzante dall'altro, entrambe
impregnate di razzismo e violenza. La via d'uscita è dunque da ricercarsi nella
creazione di condizioni di esistenza che consentano la produzione di quelle
culture ibride, che la storia dimostra essere l'unico prodotto reale e duraturo
dei grandi movimenti di popolazione. Prodotto assai caro, in termini umani,
costato molto dolore, molta fatica, molte vite: e forse l'impegno più sensato
da proporsi è proprio l'abbattimento dei costi umani di produzione delle
culture meticce".
Grazie, Amalia. Grazie davvero.