31 ottobre 2017

In ricordo di Amalia Signorelli



A pochi giorni dalla scomparsa di Amalia Signorelli, riportiamo il ricordo di una nostra dirigente delle Acli Colf, Anna Cristofaro che ha avuto il piacere di poterla conoscere.

È vero che sono di parte e che dentro c’è un carico emotivo fortissimo. Ma messo questo in premessa, non intendo qui portare il mio ricordo di allieva, perché sarebbe fuori contesto. Né credo serva a molto (qui e ora) ripercorrerne i meriti accademici. Basti dire che tutta la sua produzione scientifica si pone nel solco dell’antropologia culturale, che molti dei suoi studi sono considerati fondativi, che nell'arco di tutta la sua carriera accademica ha scelto temi di ricerca (le migrazioni, la condizione femminile, le trasformazioni urbane, i processi di cambiamento culturale) di cui fosse immediata e evidente la connessione con qualcosa che stava accadendo nella società contemporanea, fino ad arrivare agli ultimi anni in cui (con altrettanto rigore, ma anche con sorriso divertito) ha proposto in TV e sulla stampa interpretazioni antropologiche dei fatti politici e di cronaca. Piuttosto vorrei lasciare traccia di come la sua competenza sia stata utile alla riflessione delle Acli Colf. Non credo di poter dire che insieme abbiamo compiuto un percorso condiviso. Al contrario, quella semina che pure costò molto impegno rimase per lo più incompiuta. Ma tentammo, questo sì, la ricerca di un metodo, prezioso, fecondo, ovvero la costruzione di un dialogo tra ricerca e problemi. E lo facemmo insieme. 

La invitammo come relatrice in occasione di un percorso formativo destinato alle dirigenti dell’associazione e centrato sul tema del conflitto interetnico. Il tema era profondamente nostro e inteso non in termini generali, ma a partire dall'analisi di una situazione concreta: la casa come territorio di confine e di incontro tra culture diverse. 

La consegna era: non basta volere la convivenza pacifica perché questa avvenga. Occorre invece conoscere la situazione e costruire una strategia. E da questo punto di vista la competenza antropologica è molto utile. 

Le riflessioni che condivise con noi quel giorno si trovano in "L'ambiguo rispetto. Riflessioni antropologiche sugli incontri culturali". Di questo saggio, ricco di suggestioni ancora tutte da sviluppare, vorrei qui sottolineare due punti, uno propedeutico di ordine epistemologico e uno conseguente di ordine etico e politico.

I termini del problema epistemologico sono ben noti. L'errore più comune è quello di considerare la cultura altra come entità compatta, solida, congruente. Le culture sono differenziate al loro interno, articolate, stratificate come le società cui ineriscono. Nessuna cultura è statica, inerte, immutabile. Si tratta di elementari nozioni di dinamica culturale di cui si dovrebbe tenere conto quando si invoca il rispetto delle culture altre. Giacché bisogna chiedersi: quale cultura rispetteremo? Quella degli uomini o delle donne, dei giovani o degli anziani? Quella dei ricchi o dei poveri? 

E siamo così passati al secondo livello del discorso, al che fare e come farlo. Con quella rara capacità di andare al cuore delle cose, scrive: "Devo confessare  che non capisco bene cosa voglia dire rispettare le culture altre, ed è comunque un'espressione che mi evoca riserve indiane, giardini zoologici e depliant esotizzanti. Non è pensabile, non è stata mai verificata sul terreno della ricerca empirica la coesistenza di due culture che, giustapposte, non si influenzino e modifichino a vicenda. L'ibridazione, la sincretizzazione, l'innesto non solo sono inevitabili, sono segni di vitalità. La produzione culturale meticcia è la sola via di uscita concreta al dilemma dell'assimilazione espropriatrice da un lato, e della ghettizzazione escludente e stigmatizzante dall'altro, entrambe impregnate di razzismo e violenza. La via d'uscita è dunque da ricercarsi nella creazione di condizioni di esistenza che consentano la produzione di quelle culture ibride, che la storia dimostra essere l'unico prodotto reale e duraturo dei grandi movimenti di popolazione. Prodotto assai caro, in termini umani, costato molto dolore, molta fatica, molte vite: e forse l'impegno più sensato da proporsi è proprio l'abbattimento dei costi umani di produzione delle culture meticce".

Grazie, Amalia. Grazie davvero.