Ruolo e vincoli del lavoro domestico in Italia. I risultati di una
ricerca Iref in occasione della XVIII Assemblea congressuale delle Acli
Colf.
“Viviamo la vita degli anziani pur essendo giovani”. Un’immagine che
può fotografare la condizione quotidiana di tanti lavoratori e
lavoratrici di cura oggi in Italia. Al netto dell’affidabilità dei dati,
dovuta anche alla ancora consistente diffusione di lavoro irregolare, e
dell’incertezza sulle definizioni di lavoro domestico, nel caso
dell’Italia stiamo parlando della vita di almeno 900 mila persone.
E questa è solo una delle immagini scattate dall’Iref, l’istituto di
ricerca delle Acli, che per conto delle Acli Colf ha elaborato il
materiale emerso da 10 gruppi di discussione che nel complesso hanno
coinvolto 74 lavoratrici, in larga parte donne straniere provenienti da
14 paesi differenti. Le risposte, raccolte ed sintetizzate nel rapporto Viaggio nel lavoro di cura, saranno la base per un lavoro di ricerca che si concluderà il 16 giugno 2014, data dell’International domestic worker day, la Giornata internazionale dei lavoratori domestici.
«I loro racconti – si legge nel rapporto, curato per l’Iref da
Gianfranco Zucca – dimostrano il modo in cui sono “giocate” dal lavoro,
ossia come i loro comportamenti rinforzino e legittimino i vincoli
implicati dalle professioni della cura; ma anche come “giocano” la
partita del lavoro».
Ma quali sono i vincoli individuati dall’Iref? Innanzi tutto quello delle «forti differenze retributive anche a parità di condizioni di impiego.
In generale, nel Nord Italia le retribuzioni tendono a essere più alte
rispetto al Mezzogiorno». Dagli 850/900 euro al mese di Treviso o
Trieste – “lasciando stare il contratto” hanno sottolineato alcune
lavoratrici – fino ai 350 «che, stando alle testimonianze delle
lavoratrici napoletane, può richiedere un’assistente alla prima
esperienza di lavoro e poco capace di parlare l’italiano».
I lavoratori e le lavoratrici domestiche interpellate affrontano poi tre diverse forme di competizione: quella degli stessi familiari degli assistiti, «che a volte assumono il ruolo di care giver»;
quella delle lavoratrici appena giunte in Italia; quella delle donne
italiane che tornano nel mercato dell’assistenza familiare: nel 2011,
secondo i dati Inps, si è passati da 130 a 173 mila unità, mentre i
lavoratori stranieri erano circa 707 mila. Secondo la Fondazione Leone
Moressa, però tra il 2010 e il 2011, per la prima volta in tanti anni,
si è registrato un calo tra i lavoratori stranieri (-5,2%).
Il prodotto di questo mercato in evoluzione è anche un generale deprezzamento del lavoro di cura.
Deprezzamento che coincide con«una de-regulation “casa per casa”: i datori di lavoro pongono le loro condizioni in termini di prendere o lasciare, consapevoli che per ogni rifiuto ricevuto c’è un certo numero di lavoratori disposti ad accettare». Questo mentre «il mercato richiede un’assistenza qualitativamente migliore a un prezzo sempre più basso»: i lavoratori domestici vengono assunti formalmente con una specifica mansione di assistenza, ma spesso invece si trovano a divenire il punto di riferimento organizzativo e persino affettivo della casa, per tutta una serie di incombenze, incluso lavoro infermieristico. In un numero sempre maggiore di casi «un assistente familiare arriva a condividere gran parte della sua vita con la persona della quale si occupa, anche i disagi e le ristrettezze economiche». In alcuni casi «si crea un legame così stretto per il quale l’assistente non può essere sostituita in alcun modo, neppure per brevi periodi», con l’incombere del rischio di sovraccarico psico-fisico e super lavoro per il lavoratore domestico.
Deprezzamento che coincide con«una de-regulation “casa per casa”: i datori di lavoro pongono le loro condizioni in termini di prendere o lasciare, consapevoli che per ogni rifiuto ricevuto c’è un certo numero di lavoratori disposti ad accettare». Questo mentre «il mercato richiede un’assistenza qualitativamente migliore a un prezzo sempre più basso»: i lavoratori domestici vengono assunti formalmente con una specifica mansione di assistenza, ma spesso invece si trovano a divenire il punto di riferimento organizzativo e persino affettivo della casa, per tutta una serie di incombenze, incluso lavoro infermieristico. In un numero sempre maggiore di casi «un assistente familiare arriva a condividere gran parte della sua vita con la persona della quale si occupa, anche i disagi e le ristrettezze economiche». In alcuni casi «si crea un legame così stretto per il quale l’assistente non può essere sostituita in alcun modo, neppure per brevi periodi», con l’incombere del rischio di sovraccarico psico-fisico e super lavoro per il lavoratore domestico.
"Dopo la grande sanatoria del 2002 – spiega Raffaella Maioni, responsabile nazionale uscente delle Acli Colf, che dal 29 novembre al 1 dicembre hanno in programma la loro XVIII Assemblea congressuale, a Roma
– è esplosa in Italia la domanda di assistenza domestica da parte delle
famiglie, con una prevalente richiesta di prestazioni socio-sanitarie. Le cosiddette ‘badanti’ hanno colmato un vuoto di cura del sistema di welfare italiano.
Aprire finalmente gli occhi su questa realtà e predisporre servizi e
sostegni adeguati significa oggi non solo sostenere le lavoratrici e i
lavoratori del settore, ma dare attenzione e aiuto concreto alle
necessità delle famiglie che si trovano a vivere nuove situazioni di
precarietà e solitudine".