l ministero della Giustizia interviene per
chiarire la vicenda dei certificati antipedofilia richiesti
obbligatoriamente a partire da lunedì 6 aprile per i lavoratori che hanno a che
fare con i minori.
I tempi ristretti e il costo della
certificazione da richiedere avevano creato preoccupazione in vari settori:
scuola, volontariato e non da ultimo il settore domestico per l’assunzione di
babysitter.
In allarme i presidi e dirigenti scolastici, responsabili
di molte organizzazioni del terzo settore che temono di andare incontro a spese
eccessive o alle sanzioni previste dal decreto legislativo numero 39 che recepisce
la direttiva europea per la "lotta contro l'abuso e lo sfruttamento
sessuale dei minori e la pornografia minorile".
Il provvedimento, infatti, obbliga il datore di
lavoro che intenda "impiegare al lavoro una persona per lo
svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che
comportino contatti diretti e regolari con minori" a richiedere,
prima della stipula del contratto, il certificato penale per accertarsi che il
soggetto da impiegare non sia stato già condannato per reati contro i minori:
prostituzione minorile, pornografia minorile, pornografia virtuale, turismo
sessuale e adescamento dei minorenni. Soprattutto perché in caso di
inosservanza si rischia una sanzione amministrativa da 10mila a 15mila euro.
Ora il ministero della Giustizia elimina gran
parte dei dubbi, chiarendo intanto che i tantissimi volontari che operano a titolo gratuito presso parrocchie, onlus o
associazioni sportive, e dunque non sono titolari di un vero e proprio
contratto di lavoro, non sono tenuti
all'accertamento previsto dal decreto legislativo.
"L'obbligo di tale adempimento sorge soltanto ove il
soggetto che intenda avvalersi dell'opera di terzi - soggetto che può anche essere individuato in un
ente o in un'associazione che svolga attività di volontariato, seppure in forma
organizzata e non occasionale e sporadica - si appresti alla stipula di un obbligo. Non sorge, invece, ove si
avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all'interno di un
definito rapporto di lavoro". In altre parole, catechisti, volontari
che operano presso associazioni, organizzazioni scout e società sportive non
sono soggetti al 'controllo' previsto dal decreto del 4 marzo.
Altra precisazione determinante è la non retroattività della disposizione:
l'obbligo del certificato riguarda dunque solo
i nuovi assunti e non il personale già dipendente. In attesa del documento, i datori di lavoro potranno accettare
un'autocertificazione sostitutiva in cui il lavoratore dichiara di non
essere stato condannato per i reati contro i minori.
In questi giorni, prima che arrivassero le
precisazioni del ministero, erano scese in campo anche la Cei, il Coni e le
associazioni dei datori di lavoro domestico che hanno espresso preoccupazioni
riguardo a colf e baby-sitter. Attendiamo chiarimenti in merito.
Forse rendere tale certificazione obbligatoria per
tutti non era la ratio neanche della Direttiva2011/92/UE che all’art 40 recita:
Qualora sia reso opportuno dal pericolo che rappresentano e
dai possibili rischi di reiterazione del reato, gli autori del reato
dovrebbero, se del caso, essere interdetti, in via temporanea o permanente,
almeno dall’esercizio di attività professionali che comportano contatti
regolari e
diretti con minori. I
datori di lavoro hanno il diritto di essere informati, al momento
dell’assunzione per un impiego che comporta contatti diretti e regolari con
minori,
delle condanne esistenti per reati sessuali a danno di minori
iscritte nel casellario giudiziario o delle misure interdittive esistenti. Ai
fini della presente direttiva, la nozione
di «datore di lavoro» dovrebbe contemplare anche le persone che gestiscono
un’organizzazione operante in attività di volontariato attinenti alla custodia e/o
alla cura dei minori e che prevedono un contatto diretto e regolare con essi.
È opportuno che il modo in cui sono fornite tali informazioni, come ad esempio
l’accesso tramite l’interessato, nonché il contenuto preciso delle
informazioni, il significato delle attività di volontariato organizzate e il
contatto diretto e regolare con i minori siano definite conformemente al
diritto nazionale.
Vediamo che si parla di diritto di
informazione e non di obbligo di richiesta da parte del datore di lavoro e che
questo concetto “dovrebbe contemplare” anche altre forme organizzative.
Se dunque l’interesse superiore del minore deve
risultare preminente, forse trovare una formula che non escluda nessuna
categoria, ma che preveda la discrezionalità
di poter chiedere tale certificazione “qualora sia reso opportuno” per chi si occupa di minori, poteva o può essere una via.
Tra tanti esclusi, a questo punto dobbiamo infatti
chiederci chi dovrà alla fine fare questo certificato e se la norma così non
tradisca il suo senso vero … di maggior tutela del fanciullo.