18 marzo 2014

«Badanti, numero in crescita: lavoro che va valorizzato»

In Italia, e anche a Verona, negli ultimi anni è cresciuto in modo esponenziale il numero delle collaboratrici domestiche, le cosiddette badanti. 
Dalle 270mila, a livello nazionale, del 2001 siamo passati a 993mila nel 2012, un aumento del 47 per cento. E si parla sempre di badanti al femminile, perché in effetti la grandissima maggioranza sono donne. E in molti casi i loro diritti di lavoratrici non vengono rispettati. Per questo Acli Colf, la sezione delle Associazioni cristiane dei lavoratori dedicata ai collaboratori domestici, ha organizzato una tavola rotonda dal titolo «L'ambivalenza del lavoro di cura: faccenda di donne o nodi sociali irrisolti?» alla quale hanno preso parte Corinda Turri, segretaria provinciale di Acli Colf, che ha partecipato alla tavola rotonda insieme a Francesco Roncone, segretario provinciale Fap Acli, Daniela Liberati, coordinatrice servizi sociali a anziani e adulti del Comune di Verona, Claudia Alemani, dell'università Bicocca di Milano, Wanda Tommasi, dell'università di Verona, Francesca Vianello, università di Padova e Raffaella Maioni, segretaria nazionale Acli Colf. 



«Dodici milioni di italiani hanno più di 65 anni, in pratica una persona ogni cinque, e più si va avanti con l'età più aumenta il bisogno di cura giorno e notte. Cura principalmente affidata alle donne. Molte sono straniere, ma con la crisi sono in aumento le italiane, arrivando al 21 per cento del totale, oltre 174mila in Italia. A Verona sono 15mila i collaboratori domestici, le donne sono il 77 cento. Oltre a questi dati ufficiali», prosegue Turri, «bisogna poi considerare il sommerso». 
«Ormai le collaboratrici domestiche sono richieste da tutte la fasce sociali, anche quelle meno abbienti, perché se ne ha bisogno», prosegue Turri, «e se ne ha bisogno a tutte le ore. Ma anche se accettano coabitazione, gli orari stabiliti devono essere rispettati, mentre spesso non è così». Spesso poi vengono anche richieste alle badanti prestazioni sanitarie, senza che ne abbiano le competenze. «Manca una politica complessiva, insieme ai Servizi Sociali. Le famiglie si arrangiano e le lavoratrici anche. Invece il loro lavoro deve essere valorizzato e rispettato», conclude Turri

E.INN.