Una regolarizzazione che poteva andare meglio. Questa la sensazione che molti hanno e che emerge anche dai nostri referenti territoriali che hanno seguito passo a passo la regolarizzazione 2012 con le sue criticità, dubbi, timori, da parte tanto delle famiglie che dei lavoratori.
Leggiamo il punto di vista nell'articolo/intervista a Marta Ginettelli, responsabile provinciale Acli Colf Perugia.
(Fonte lavoce.it) Poteva andare meglio: è questa la sensazione a pochi giorni dalla scadenza (fissata lunedì 15) della “finestra” di un mese concessa ai datori di lavoro per mettere in regola i dipendenti stranieri in nero, attraverso l’invio delle domande al sito del Viminale.
Come mai questo calo?
I problemi principali della regolarizzazione 2012 sarebbero due: i requisiti e il costo.
Partiamo dal primo. Il decreto di emersione riguarda i lavoratori extracomunitari occupati irregolarmente da almeno tre mesi a tempo indeterminato (per colf e badanti è ammesso il part-time ma con almeno 20 ore settimanali) e presenti in Italia ininterrottamente almeno dal 31 dicembre 2011. A certificare quest’ultimo dato occorrono documenti rilasciati da organismi pubblici da cui risulti la presenza in Italia almeno dalla data del 31 dicembre 2011 quali, ad esempio, la certificazione medica di una Asl, il certificato di iscrizione scolastica dei figli del lavoratore, la tessera nominativa dei mezzi pubblici, multe, attestazioni di centri di accoglienza o di ricovero autorizzati, ecc. “Sono requisiti allucinanti – spiega Ginettelli – perché chi è clandestino, nella maggioranza dei casi, evita accuratamente di rivolgersi ad organismi pubblici ma mantiene un profilo basso. Ci sono molti extracomunitari irregolari che da anni lavorano in Italia e si comportano bene, non hanno preso multe, non hanno avuto bisogno di cure, ecc. Per loro la possibilità della regolarizzazione è reclusa. Paradossalmente, era meglio essersi comportati male”.
C’è poi la questione economica. La norma, infatti, prevede che la dichiarazione di emersione possa essere presentata previo pagamento di un contributo forfettario di 1.000 euro per ciascun lavoratore. A questo va ad aggiungersi il pagamento delle somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale pari ad almeno sei mesi. “Il contributo non è rimborsabile – continua Ginettelli – ed è un requisito preliminare per inviare la domanda, quindi non comporta automaticamente che venga ammessa. Nel 2009 il contributo era di 500 euro, la metà. Poi ci sono da considerare i contributi. Cifre di non poco conto, che rendono la regolarizzazione particolarmente esosa. A coloro che si sono rivolti ai nostri Caf abbiamo verificato a monte se c’erano gli estremi per far accettare la domanda, così da non far pagare soldi inutilmente. Di buono c’è – conclude – che non vi era un numero massimo di lavoratori regolarizzabili e una priorità di base alla data della domanda, quindi fino all'ultimo momento si è potuto approfittare di questa possibilità”.
Le sanzioni penali
Scaduti i termini per la regolarizzazione, per chi occupa lavoratori stranieri in modo irregolare scatteranno pesanti sanzioni. La legge italiana prevede per il datore di lavoro “colpevole” da sei mesi a tre anni di carcere e una multa di 5.000 euro per ogni lavoratore straniero irregolare impiegato. In più, la pena aumenta da un terzo alla metà qualora i lavoratori siano più di tre, oppure minori in età non lavorativa, o “sottoposti a condizioni lavorative di particolare sfruttamento”. Inoltre, è prevista una sanzione amministrativa accessoria pari al “costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto irregolarmente”. Nell'ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo, infine, allo straniero che denuncia il proprio datore di lavoro e coopera nel procedimento penale, è rilasciato per motivi umanitari un permesso di soggiorno temporaneo.
(Articolo di Laura Lana, pubblicato su La Voce)