24 ottobre 2012

Dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.


Dal 18 luglio 2012, per effetto della Riforma del mercato del lavoro è entrata in vigore la norma che stabilisce l’obbligo della convalida delle dimissioni per i lavoratori che intendono dimettersi o risolvere consensualmente il rapporto di lavoro con il proprio datore di lavoro, introducendo un meccanismo diretto ad accertare la genuinità della volontà del lavoratore, contro la pratica delle dimissioni in bianco.
Contrariamente a quanto avvenuto in passato, la riforma non esenta le lavoratrici domestiche da questa procedura, che quindi, dal 18 luglio scorso, se vogliono lasciare il lavoro devono sottoporre la propria decisione alla convalida da parte dei soggetti abilitati.

Cosa deve fare la lavoratrice se vuole dimettersi?

Se prima era sufficiente presentare la propria lettera di dimissioni al datore di lavoro, oggi la lavoratrice deve attivare una delle seguenti procedure formali:


1)    Recarsi presso uno dei seguenti soggetti abilitati, competenti per territorio:
  • la Direzione provinciale del lavoro;
  • il Centro per l’impiego;
  • la sede individuata dal CCNL di riferimento della categoria (per le colf ancora non precisata)
Questi enti, senza particolari formalità istruttorie, si limiteranno a raccogliere la ‘genuina’ volontà della lavoratrice a cessare il rapporto di lavoro, con annotazione su apposito registro e rilascio di ricevuta di presentazione.
2) Apporre apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, con cui viene espressa la volontà di interrompere il rapporto di lavoro.
NB. Si precisa che, in base alla Circolare n. 18/2012 del Ministero del Lavoro, la validazione delle dimissioni non è necessaria nelle ipotesi in cui la cessazione del rapporto rientri nell'ambito di procedure di riduzione del personale in sede istituzionale o sindacale, in quanto tali sedi offrono le stesse garanzie di 'genuinità' del consenso della procedura di cui sopra.

Quali sono gli obblighi del datore di lavoro?

Il datore di lavoro deve verificare che la lavoratrice o il lavoratore adempia alla convalida, attraverso la consegna delle dimissioni convalidate.
In caso di dimissioni prive di convalida, il datore di lavoro, entro 30 giorni dalla data delle dimissioni o risoluzione consensuale, deve convocare la lavoratrice o il lavoratore, tramite invito scritto che dovrà contenere la ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione.
Dalla ricezione dell’invito, il lavoratore entro 7 giorni (di calendario) deve recarsi presso il datore di lavoro o altro soggetto abilitato alla convalida.
Nel caso non aderisca all’invito il rapporto di lavoro si intende risolto e il lavoratore non potrà più far valere la mancata attuazione delle procedure previste dalla norma per invalidare il rapporto di lavoro.

Quali precauzioni da parte del datore di lavoro?

Il CCNL dei lavoratori domestici prevede la necessità per il lavoratore di indicare il domicilio “valido per la ricezione delle comunicazioni inerenti il rapporto di lavoro” già nella lettera di assunzione, in modo tale che il datore di lavoro abbia la certezza dell’indirizzo cui poter effettuare validamente ogni comunicazione al lavoratore a prescindere dalla effettiva ricezione e lettura della stessa.
La procedura di validazione delle dimissioni, rende quindi fondamentale la redazione della lettera di assunzione con l’indicazione del domicilio “valido ai fini delle comunicazioni inerenti il rapporto di lavoro”.
D’altronde questo adempimento aveva già assunto una sua rilevanza con l’art. 21 del CCNL che prevede la necessità di contestare le assenze non giustificate, con lettera scritta, cui il lavoratore deve obbligatoriamente rispondere entro il quinto giorno, a pena di risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa.

C’è un diritto di ripensamento della lavoratrice?

Nei 7 giorni dalla ricezione dell’invito la lavoratrice o il lavoratore ha la possibilità di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale, anche verbalmente (“La revoca può essere comunicata in forma scritta”), anche se al fine di evitare contestazioni e incertezze si impone la manifestazione della volontà in forma scritta.
Nel periodo intercorso tra il recesso e la revoca, se non lavorato, non matura alcun diritto retributivo e contributivo in capo al lavoratore: si tratta di una sorta di aspettativa non retribuita.