Dal 18 luglio 2012, per effetto della
Riforma del mercato del lavoro è entrata in vigore la norma che stabilisce l’obbligo
della convalida delle dimissioni per i lavoratori che intendono dimettersi o
risolvere consensualmente il rapporto di lavoro con il proprio datore di lavoro,
introducendo un meccanismo diretto
ad accertare la genuinità della volontà del lavoratore, contro la pratica delle
dimissioni in bianco.
Contrariamente
a quanto avvenuto in passato, la riforma non esenta le lavoratrici domestiche
da questa procedura, che quindi, dal 18 luglio scorso, se vogliono lasciare il
lavoro devono sottoporre la propria decisione alla convalida da parte dei
soggetti abilitati.
Cosa deve fare la lavoratrice se vuole
dimettersi?
Se prima era
sufficiente presentare la propria lettera di dimissioni al datore di lavoro,
oggi la lavoratrice deve attivare una delle seguenti procedure formali:
1)
Recarsi presso uno dei
seguenti soggetti abilitati, competenti per territorio:
- la
Direzione provinciale del lavoro;
- il
Centro per l’impiego;
- la
sede individuata dal CCNL di riferimento della categoria (per le colf
ancora non precisata)
Questi enti, senza particolari formalità
istruttorie, si limiteranno a raccogliere la ‘genuina’ volontà della
lavoratrice a cessare il rapporto di lavoro, con annotazione su apposito
registro e rilascio di ricevuta di presentazione.
2) Apporre apposita
dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di
cessazione del rapporto di lavoro, con cui viene espressa la volontà di interrompere
il rapporto di lavoro.
NB. Si precisa che, in
base alla Circolare n. 18/2012 del Ministero del Lavoro, la validazione delle
dimissioni non è necessaria nelle
ipotesi in cui la cessazione del rapporto rientri nell'ambito di procedure
di riduzione del personale in sede istituzionale o sindacale, in quanto tali
sedi offrono le stesse garanzie di 'genuinità' del consenso della procedura di
cui sopra.
Quali sono gli obblighi del datore di lavoro?
Il datore di lavoro
deve verificare che la lavoratrice o il lavoratore adempia alla convalida,
attraverso la consegna delle dimissioni convalidate.
In caso di dimissioni
prive di convalida, il datore di lavoro, entro
30 giorni dalla data delle dimissioni o risoluzione consensuale, deve
convocare la lavoratrice o il lavoratore, tramite invito scritto che dovrà
contenere la ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione.
Dalla ricezione
dell’invito, il lavoratore entro 7
giorni (di calendario) deve recarsi presso il datore di lavoro o altro
soggetto abilitato alla convalida.
Nel caso non aderisca
all’invito il rapporto di lavoro si intende risolto e il lavoratore non potrà
più far valere la mancata attuazione delle procedure previste dalla norma per
invalidare il rapporto di lavoro.
Quali precauzioni da parte del
datore di lavoro?
Il CCNL dei lavoratori
domestici prevede la necessità per il lavoratore di indicare il domicilio
“valido per la ricezione delle comunicazioni inerenti il rapporto di lavoro”
già nella lettera di assunzione, in modo tale che il datore di lavoro abbia la certezza dell’indirizzo cui poter
effettuare validamente ogni comunicazione al lavoratore a prescindere dalla
effettiva ricezione e lettura della stessa.
La procedura di validazione delle dimissioni, rende quindi
fondamentale la redazione della lettera di assunzione con l’indicazione del
domicilio “valido ai fini delle comunicazioni inerenti il rapporto di lavoro”.
D’altronde questo
adempimento aveva già assunto una sua rilevanza con l’art. 21 del CCNL che
prevede la necessità di contestare le assenze non giustificate, con lettera
scritta, cui il lavoratore deve obbligatoriamente rispondere entro il quinto
giorno, a pena di risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa.
C’è un diritto di ripensamento della
lavoratrice?
Nei 7 giorni dalla ricezione dell’invito la lavoratrice o
il lavoratore ha la possibilità di revocare le dimissioni o la risoluzione
consensuale, anche verbalmente (“La revoca può essere comunicata in forma scritta”),
anche se al fine di evitare contestazioni e incertezze si impone la
manifestazione della volontà in forma scritta.
Nel periodo intercorso
tra il recesso e la revoca, se non lavorato, non matura alcun
diritto retributivo e contributivo in capo al lavoratore: si tratta di una sorta di aspettativa non retribuita.