Lavoro come
collaboratrice domestica presso una famiglia di anziani e ho da poco saputo di
essere in gravidanza: il datore di lavoro può licenziarmi?
Ha fatto molto scalpore la sentenza della Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, 2 settembre 2015 n. 17433, rimbalzata tra i
network in rete come la dichiarazione da parte della Suprema Corte di una
assoluta liceità del licenziamento delle lavoratrici domestiche in gravidanza.
In realtà la Corte di Cassazione ha semplicemente
rilevato come il divieto di licenziamento non è previsto dalla legge come
illecito, in quanto l'art. 62 della Legge 151/2001, di tutela della maternità,
esclude le lavoratrici domestiche da quella particolare tutela che vieta ai
datori di lavoro il licenziamento dall'inizio della gravidanza fino ad un anno
di età del bambino. Così come del resto le dimissioni in gravidanza non sono
assistite da quella particolare tutela che impone la “convalida”, con apposita
dichiarazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro, per le lavoratrici
nel settore imprese.
Ciò però non significa che il licenziamento della
lavoratrice in gravidanza sia “lecito” e manchi di ogni tutela.
In secondo luogo, il sistema normativo vigente,
comprensivo dei principi costituzionali di tutela della famiglia e della
maternità (art. 31) nonché di parità di trattamento (art. 37), prescrive la
realizzazione di una tutela sostanziale della lavoratrice in gravidanza, che
passa necessariamente dal divieto di licenziamento: proprio sulla base di
questi principi sia la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 86/1994,
sia la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6199/98, hanno
avuto modo di sottolineare che la specialità del rapporto di lavoro domestico,
legata al fatto di essere destinata a soddisfare le esigenze domestiche del
datore di lavoro e della sua famiglia, non vale ad escludere in modo assoluto
ed aprioristico l'applicabilità la normativa dettata per il lavoro nella
impresa, e in particolare quella sulla tutela della maternità.
Esiste infatti una regola generale di protezione, di cui
all'art. 2110 cod. civ., che impone, in assenza dell'applicabilità di normative
speciali, come appunto la Legge 151/2001, la sospensione dell'obbligo della
prestazione di lavoro e il diritto alla conservazione del posto, due elementi
riconosciuti come indispensabili per assicurare l'effettiva tutela della
lavoratrice in gravidanza, come del resto previsto da molte convenzioni
internazionali ratificate dall'Italia, da ultimo la Convenzione Ilo C189 del
2011, e prima ancora la Convenzione Ilo C103 ratificata nel 1970,
cui si affianca la Direttiva 76/207 sulle pari opportunità, nonché la
Carta Sociale Europea ratificata nel 65.
In definitiva, pur se non espressamente previsto dalla
Legge 151/2001, vige un divieto di licenziamento in gravidanza anche per le
lavoratrici domestiche, che si differenzia da quello delle altre lavoratrici esclusivamente
per la durata, e che viene pacificamente identificato con il periodo di
astensione obbligatoria dal lavoro o congedo di maternità, per evidenti ragioni
di equità e parità di trattamento.