10 dicembre 2013

Una riflessione perchè... Badare non basta!

Dal sito www.zeroviolenzadonne.it una riflessione di Sabrina Marchetti (riceratrice e componente del comitato scientifico di ricerca Acli Colf ) sul libro Badare non basta.
 
Sergio Pasquinelli e Giselda Rusmini ci offrono, in questo volume (Ediesse 2013, pp. 227, 13 Euro), una ricca analisi sul tema del lavoro di cura elaborata alla luce delle indagini che da anni porta avanti l'Istituto per la Ricerca Sociale (IRS) di Milano su questo argomento.

Il saggio racchiude infatti i contributi di diverse autrici e autori precedentemente coinvolte nelle attività editoriali che l’IRS coordina su questo tema, in particolare il sito www.qualificare.info e la rivista “Prospettive sociali e sanitarie”. Ad esempio della varietà di approcci e prospettive offerte dal saggio, abbiamo il tema della storia di questo settore nel saggio di Raffaella Sarti, quello delle organizzazione di domestiche di Raffaella Maioni, o quello sul welfare transnazionale di Flavia Piperno, Francesca Alice Vianello e Olena Fedyuk.
I dati contenuti nel volume sono drammatici.

Pasquinelli ci dice che in Italia attualmente ci sono 2,3 milioni di anziani non autosufficienti. Circa la metà di questi è accudito da un’assistente familiare privata, per una spesa complessiva di quasi 10 miliardi l’anno. Giuseppe Micheli rincara la dose specificando che la situazione è solo che destinata ad aggravarsi. L’elemento di fragilità  principale del contesto italiano sta nella progressiva carenza di donne che possano ricoprire il ruolo della care-giver informale all’interno della propria famiglia, ossia, detto in altre parole, di figlie che si occuperanno dei loro genitori anziani.

Se oggi su ogni donna nella fascia di età fra i 50 e i 59 anni “gravano” 2,4 anziani non autosufficienti, nel 2030 il numero sarà di 4, e addirittura 7,5 nel 2050. Che fare quindi? quali sono le soluzioni possibili? Il libro esamina alcuni dei rimedi proposti finora, in Italia oppure all’estero, ma la soluzione è inutile dirlo non è certo dietro l’angolo. E le pratiche anche buone sperimentate altrove non possono essere semplicemente replicate nel contesto italiano, viste le differenze nei valori tradizionali legati alla famiglia e alla sfera domestica, e le diverse norme condivise rispetto all’invecchiamento, al lavoro femminile, e al rapporto con le istituzioni e il sistema socio-sanitario.
A fronte di tanta complessità, il pregio di questo libro sta probabilmente nel portare la questione del lavoro di cura svolto da donne immigrate nelle case italiane, questione per molti versi abusata, all’interno di un dibattito internazionale di più ampio respiro. Da questa prospettiva, la questione diventa quella del “tipo” di cura che desideriamo. Difatti, a dispetto dell’affermazione di Joan Tronto che “La cura è una preoccupazione centrale della vita umana”, citata in questo volume da Patrizia Taccani, manca in realtà una consapevolezza generale del “problema” della cura.

Manca in sostanza una sensibilità collettiva, una presa di coscienza generalizzata che è su questo piano che si gioca una delle sfide più importanti del nostro futuro. Dopo la precarietà del lavoro e l’impoverimento delle classi medio-basse, è proprio l’impossibilità di far fronte alle necessità di cura delle nostre anziane e anziani che rischia di darci il colpo di grazia.
Ed è per questo che disabilità, malattia e invecchiamento dovrebbero essere messe al centro delle lotte e di rivendicazioni sociali più ampie, invece di essere, come è adesso, relegate ad un problema da risolvere tutto nelle quattro mura domestiche, all’interno del legame intergenerazionale fra genitori e figli. Si ripropone ossia, anacronisticamente, un approccio familistico alla questione quando in realtà, come dimostrato dal recente censimento ISTAT, la “famiglia italiana” come la conoscevamo di fatto esiste sempre di meno.
Le soluzioni sono tutte in sostanza di ripiego perché quel che sarebbe davvero necessario è un ripensamento dell’importanza della cura, dell’assistenza e del sostegno da parte delle persone autosufficienti verso quelle che non lo sono. Tale ripensamento non può che passare per una riconfigurazione dei ruoli di genere per cui tutti e tutte siano parimenti coinvolte nell’accettare questa sfida. Tornando a Tronto, dovrebbe essere proprio la cura uno degli assi portanti per l’acquisizione di diritti di cittadinanza sociale (per donne, migranti, anziane/i, ecc.), anziché essere come adesso il piano su cui si attuano emarginazione e sfruttamento.
Studi come questo invitano a tale riflessione, consapevoli tuttavia dei forti limiti a tale dibattito da parte della società in generale, al fatto che le risorse economiche sono scarse e che le priorità politiche siano altrove.  In questo senso è forse da capire il titolo del volume: “Badare non basta”, ossia il problema non si risolve trovando la persona che, a pagamento o gratuitamente, si faccia carico di questi compiti di cura. La questione è più profonda.