E' vero che i voucher lavoro sono un'opportunità importante ed interessante per assicurare lavoratori che si vogliono assumere alle proprie dipendenze. Come specifica l'INPS essi costituiscono
"una particolare modalità di prestazione lavorativa la cui finalità è quella di regolamentare quelle prestazioni lavorative, definite appunto 'accessorie', che non sono riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e tutelare situazioni non regolamentate".
Anche nel settore domestico possono essere utilizzati, anche se questo può comportare una serie di problemi qualora diventassero uno strumento sostitutivo al contratto stipulato tra le parti (che fa riferimento al ccnl), e quindi determinare la perdita di alcuni diritti e garanzie che i lavoratori domestici assunti con un "normale" contratto hanno (es. tfr, disoccupazione).
Di seguito riportiamo una riflessione e un'azione che stanno promuovendo i firmatari del ccnl su questo tema che ci sembra importante e che mette in luce come ci sia coscienza dei rischi che ci sono utilizzando i voucher tanto per i lavoratori che per i datori di lavoro.
“Il Governo italiano deve urgentemente correre ai ripari e mettere mano al funzionamento dello strumento dei voucher. I dati diffusi dall’Inps sono allarmanti e mettono nero su bianco quello che da mesi la nostra associazione sta denunciando a gran voce: la riforma del lavoro accessorio non è più rinviabile”. È quanto dichiara il Vice Presidente Assindatcolf, componente Fidaldo.
L’incremento registrato tra il 2014 ed il 2015 dall’Inps, pari al 66% relativamente al numero di buoni lavoro venduti, testimonia che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. Complessivamente nel 2015 sono stati venduti 115,1 milioni di voucher, di questi quasi 5 milioni sono solo nel settore domestico.
Se confrontiamo il dato del 2015 con quello dell’anno precedente ci accorgiamo, però, che in soli 12 mesi l’aumento delle vendite di buoni lavoro destinati a colf, badanti e baby sitter è stato di oltre 3 milioni. Si tratta di numeri che impongono una riflessione generale ma soprattutto relativamente alle specificità del settore domestico. Peculiarità che se non considerate rischiano di compromettere la natura stessa dello strumento dei voucher, a partire dal limite massimo annuo che un lavoratore può percepire attraverso i buoni, che il Jobs Act ha fissato a 7 mila euro. Con questa cifra, infatti, un datore di lavoro domestico riesce a coprire l’attività di un collaboratore che presta servizio per 23-24 ore a settimana, ogni mese, per anni, con il rischio per la famiglia, già riscontrato in alcuni primi casi di contenzioso, che trascorso un determinato lasso di tempo il lavoratore muova rivendicazioni contrattuali e retributive derivanti dal mancato godimento di istituti retributivi quali ferie retribuite e TFR o dal mancato godimento di tutele previdenziali-assistenziali, quali la NASPI in caso di perdita involontaria del posto di lavoro o l’indennità di maternità per le lavoratrici madri.
Per evitare distorsioni del sistema, le specificità del settore domestico impongono che il plafond annuale netto venga riportato a 2 mila euro, in modo che non si creino pericolosi fenomeni di concorrenza al ribasso tra strumenti giuridico-contrattuali. Al contrario il rischio è quello che dietro questo continuo aumento della vendita di voucher ci sia, invece, la volontà di nascondere un lavoro irregolare e senza tutele. Per questo motivo, la scorsa settimana i firmatari del contratto hanno richiesto un incontro urgente al ministro del Lavoro Giuliano Poletti.
Fonte www.safacli.com