Concluso il workshop “Lavoro di cura, Nutrimento per la
vita”, tenutosi a Milano lo scorso 16 giugno, abbiamo ritenuto importante
chiedere a tutti i partecipanti di restituirci le proprie impressioni e
condividere con noi quel carico emozionale che l’incontro aveva suscitato in
loro. Una decisione, questa, maturata dalla consapevolezza che a Milano non
fosse andato in scena il classico incontro asettico, ma, “una giornata
intensa di confronto durante la quale, a prevalere, non sono stati i numeri e
le statistiche, ma la realtà di una professione difficile e impegnativa che
tante donne dal mondo svolgono in relazione, con attenzione e amore”. Lavoratrici comuni, provenienti alcune
da paesi e culture lontane, che però hanno saputo tradurre, con parole semplici
e dettate dal cuore, le loro storie coinvolgenti, a tratti commoventi, così
come in molti hanno riscontrato. Il segreto di
questo linguaggio così carico di pathos trae origine dal fatto che "le lavoratrici hanno dimostrato di saper cogliere,
anche attraverso operazioni quotidiane di scambio/trasmissione di cibo,
importanti metodologie di rilevanza anche terapeutica e soprattutto di
vicinanza relazionale”.
Il link che ha unito tutti gli interventi è stato il cibo,
chiamato in causa non in maniera banale, ma come trampolino per avviare una
riflessione più ampia e articolata. Ecco come il
concetto di cibo è stato declinato nel corso del workshop: “Il gusto è
conoscenza, il semplice atto del mangiare ci pone in relazione con l’altro, con
chi prepara i cibi, chi li assaggia e li condivide, unendo in un semplice atto
quotidiano chi ci è vicino da sempre, con chi proviene da Paesi anche molto
lontani”. L’alimento, la pietanza, quindi, come veicolo in grado di
superare le distanze, di connettere le diverse latitudini, ma anche di far
riemergere lontani ricordi che si perdono nelle trame e nelle storie personali di ciascuno: “…i cibi
semplici delle mie nonne contadine, la loro fatica nei campi, ma anche quanto
possa essere bella la condivisione di sapori e cibi di altre culture, che
avvicinano e favoriscono il dialogo anche tra persone di diversa nazionalità.
La mia riflessione va anche alla generosità della terra che nonostante la poca
cura che le riserviamo, continua a nutrirci con i suoi frutti”.
In conclusione: esperienze, ricordi, impressioni differenti
che però convergono nella comune ammissione che considera metaforicamente il cibo come alimento del neonato di oggi, ma anche dell'uomo di domani;
in questo accudire c’è la profonda relazione che lega, in un vicendevole
arricchimento culturale, l’assistente e l’assistito, attraverso un
coinvolgimento che ingloba l’intero contesto familiare.