Lavoro come
assistente familiare convivente presso una signora anziana autosufficiente. Da
qualche mese ho preso una stanza in affitto, e quindi ho più volte chiesto al
figlio della signora di poter andare a dormire a casa mia, per fare ritorno la
mattina appena la signora si sveglia. Ultimamente però il figlio è apparso
molto contrariato, ma se la notte deve essere dedicata al riposo, non sono
libera di uscire, al termine dell’orario di lavoro fissato fino alle 20.00?
Il contratto di
lavoro domestico “in regime di convivenza” ha caratteristiche specifiche che lo
differenziano radicalmente da ogni altro tipo di rapporto di lavoro.
In tale tipo di
contratto la prestazione lavorativa è comprensiva della c.d. “convivenza”, che
non si configura come un “diritto” del lavoratore, ma come una vera e propria
obbligazione, facente parte dell’intera “prestazione lavorativa”: in sostanza
tra le mansioni della lavoratrice, oltre la cura della persona e della casa,
nei limiti previsti dal proprio profilo contrattuale, è compresa la necessità
di assicurare la propria presenza in modo continuativo, salvo i riposi obbligatoriamente
previsti dal Ccnl.
L’assistente
familiare assunta in regime di convivenza non può dunque liberamente
assentarsi, a prescindere dall’effettivo orario di lavoro concordato con il
datore di lavoro.
Ciò non significa che
la lavoratrice deve essere obbligata a effettuare prestazioni lavorative in
modo continuativo, anche di notte: il Ccnl stabilisce chiaramente che la
lavoratrice ha diritto ad un riposo continuativo di almeno 11 ore, e che in
caso di prestazione lavorativa notturna essa è compensata, se ordinaria, con la
maggiorazione del 20% della retribuzione globale di fatto oraria, se
straordinaria, in quanto svolta oltre il normale orario di lavoro, con la
maggiorazione del 50% della retribuzione globale di fatto oraria.