Sono stata assunta presso una famiglia come baby sitter. In caso di
maternità ho le stesse tutele di una lavoratrice dipendente di una
Società?
Il rapporto di lavoro domestico è considerato dal nostro ordinamento un
“rapporto di lavoro speciale”, considerato il particolare contesto,
estraneo alla vita dell’impresa, in cui la prestazione viene resa.
Per questo la Legge 151/2001, sulla tutela della maternità, dedica
espressamente l’art. 62 al “lavoro domestico”, asserendo che ad esso si
applicano solo alcuni degli articoli dedicati alla tutela della
maternità.
In particolare, non si applica alle lavoratrici domestiche il divieto di licenziamento,
previsto dall’art. 55, dal concepimento fino al compimento di un anno
di età del bambino, così come manca il riconoscimento della c.d. astensione facoltativa,
fruibile, per tutte le altre lavoratrici, nei sei mesi successivi al
termine di quella obbligatoria, e non sono riconosciuti nemmeno i c.d. “permessi di allattamento” nè le assenze giustificate dalla malattia del bambino fino a tre anni di vita.
Alla lavoratrice domestica madre è riconosciuto, dunque, solo il periodo di astensione obbligatoria,
durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto, salvo eventuali
anticipi, nel caso di pericoli per la gravidanza ad esempio (art. 17
Legge 151/2001), o posticipi (in applicazione della flessibilità del
congedo) previsti dalla normativa di legge; per il periodo eventualmente
intercorrente tra tale data e quella effettiva del parto; durante i 3
mesi dopo il parto. Per tale periodo la lavoratrice potrà fare domanda
all’INPS per ottenere l’indennità di maternità, che coprirà l’80% della
retribuzione globale di fatto, ed è assistita dalla contribuzione
figurativa: durante tale periodo il datore di lavoro sospenderà infatti
sia la contribuzione che la retribuzione, ad esclusione di ferie e TFR, che saranno a carico dell’INPS.
Ad esso si affianca il divieto di licenziamento, che
però inizia con il concepimento (purchè intervenuto nel corso del
rapporto di lavoro) e si limita ad estendersi fino alla fine del congedo
obbligatorio (3 mesi dopo il parto), e non fino all’anno di età del
bambino.
Il nuovo Ccnl ha rafforzato la tutela contro i licenziamenti della
lavoratrice madre, introducendo un nuovo art. 39 secondo cui: “I termini
di preavviso di cui al comma precedente, saranno raddoppiati
nell’eventualità in cui il datore di lavoro intimi il licenziamento
prima del trentunesimo giorno successivo al termine del congedo per
maternità”. Quindi nel caso in cui, al termine del congedo obbligatorio,
alla scadenza dei tre mesi successivi al parto, il datore di lavoro
intimi il licenziamento entro i successivi 30 giorni, dovrà osservare un preavviso doppio rispetto a quello ordinario.