La figura letteraria della domestica e tante donne italiane
riscoprono gli antichi mestieri
di colf, badante, baby sitter. Secondo dati Inps sono oltre 133 mila, e negli
ultimi anni sono cresciute del venti per cento. Spesso sono sole con figli a
carico, o con i mariti a spasso, alle prese con mutui e cambiali e non
provengono più soltanto dallo storico serbatoio del Friuli.
Ai miei tempi (lontani, ma
non giurassici) non si chiamava domestica né tanto meno colf, ma «la donna»,
sottintendendo «di servizio». Se non c'era una camera apposita, dormiva sul
divano in salotto. Ho in mente una vignetta di Novello con una donnina
assonnata appoggiata al tavolo di cucina in attesa che gli invitati lascino
libero il suo posto letto.
Non solo i signori sfoggiavano la servitù in
rigatino o grembiule di pizzo, ma ogni famiglia borghesuccia vantava la donna
tuttofare che si alzava alle sei, spalancava le finestre, puliva le scarpe,
serviva a padroncini maleducati le fette di pane burro e zucchero, li accompagnava
a scuola, tornava a casa a stirare, rammendare, lucidare col Sidol i regali di
nozze. Senza diritti né orario, stava alla civiltà dei «padroni» (li chiamava
così) trattarla con garbo e imporre ai bambini di chiedere «per favore». Il
lunedì c'era il bucato giù in lavanderia e verso sera la donna risaliva con le
mani viola e i piedi fradici (ma forse quella giornata tra il profumo del
sapone di Marsiglia, l'odore di legno dolce bruciato nella caldaia, era più
riposante delle sfacchinate quotidiane).
La marea delle 130 mila
licenziate da fabbriche e uffici non disdegna dunque le incombenze meno
gratificanti. Ma di certo, a differenza delle colf storiche che le hanno
precedute, non dovranno sfiancarsi a strizzare lenzuola, né strofinare stracci
in ginocchio né bruciarsi le mani con la lisciva. Troveranno un apparato di
lavastoviglie, centrifughe, bottoni da premere, scope elettriche con
retromarcia, aspiratutto (non solo gli scarriolanti son divenuti gruisti). Ma
di peggio scopriranno la figliolanza di casa, sfrontata e villana, capace di
ogni angheria se può filmarla con il videofonino e scaricarla in Rete.
Per rialzare il morale di queste colf di
ritorno, ho eseguito una piccola ricerca e ho scoperto le benemerenze delle domestiche
nell'arte e nella storia. Nella pittura, per esempio, dominano le «fantesche»
di Vermeer con le pesanti cuffie bianche, che versano latte o vino dalle
brocche. La narrativa è letteralmente gremita di domestiche con ruoli
tutt'altro che trascurabili. Ne svettano due curiosamente agli antipodi: nel
turbine di Via col vento e nelle silenziose stanze della Recherche proustiana.
In entrambe le opere meritano addirittura le ultime righe dei romanzi: Rossella
rimpiange il tempo che fu e ricorda la Mamy nera protettiva, ingombrante,
insostituibile: «La desiderò all'improvviso e disperatamente come l'aveva
desiderata da bambina: l'ampio seno su cui posava la testa, la mano nera e
nodosa sui suoi capelli».
E altrettanto fa Marcel Proust,
chiudendo l'amore morboso e le gelosie per l'amante Albertine: la cameriera
Françoise entra nella stanza di Marcel, timorosa per non aver atteso la sua
scampanellata. «Avete fatto bene a non svegliarmi, vi chiamerò tra poco». Ma la
cameriera mormora, impacciata: «La signorina Albertine ha lasciato questa
lettera per il signore. Ed è partita». Il romanzo finisce così: dopo la
lunghissima, tormentata autoanalisi, una conclusione quasi notarile.
Georges Simenon ribalta la
situazione e piazza la domestica nelle primissime pagine de L'assassino.
Dopo aver ammazzato moglie fedifraga e relativo amante, il dottor Kuperus
rincasa tranquillo e si porta a letto Neel, «florida e soda, le braccia rosee
che profumano di sapone».
Troppo tardi Anthony Hopkins,
maggiordomo sublime in Quel che resta del giorno, corrisponde l'amore di
miss Kenton, cameriera in capo. Mentre nell'opera buffa La serva padrona,
l'attempato padrone Uberto perde la testa per la servetta Serpina che si fa
sposare e lo spenna come un tacchino. Curiosa anticipazione settecentesca delle
imprese di tante badanti dell'Est che intortano i rispettivi badati.
Nella mia ricerca volante non
poteva mancare una splendente carriera ancillare. Vedovo di Anita,
vanamente corteggiato dalle baronesse di mezz'Europa, Garibaldi si affeziona
all'umile Francesca Armosino: prima serva, poi governante, poi segretaria e
infine moglie amorosa che lo accudisce nella dolorosa vecchiaia. E così la colf
fa ingresso anche nella storia.
Luca Goldoni