Oswaldo Guayasamin |
Dopo l’ultima tragedia avvenuta a Prato con protagoniste un’assistente
familiare straniera con disagio psichico e la sua assistita, diventa importante
interrogarsi sul ruolo delle assistenti familiari che svolgono lavoro di cura
alla persona.
Al di là delle polemiche che il tema può far nascere (e anche una
inopportuna strumentalizzazione), interroghiamoci innanzitutto sui ritmi di
lavoro a cui sono sottoposte queste donne, e su come famiglie, reti sociali,
spesso le lascino sole.
Non è raro incontrare assistenti familiari con anziani, che sostengono
ritmi di lavoro molto intensi (7 giorni su 7, assistenza diurna e anche
notturna, poche ore libero per recuperare le energie psico-fisiche) ed esposte
a stress anche molto elevati.
Magari sono le stesse lavoratrici a rendersi disponibili per guadagnare qualcosa in più da mandare alla famiglia rimasta a casa, ma non rendendosi conto di quanto possono rimetterci a livello di salute, nonché di isolamento dalle rete comunitarie anche più prossime, con amici e parenti.
Magari sono le stesse lavoratrici a rendersi disponibili per guadagnare qualcosa in più da mandare alla famiglia rimasta a casa, ma non rendendosi conto di quanto possono rimetterci a livello di salute, nonché di isolamento dalle rete comunitarie anche più prossime, con amici e parenti.
Molte lavoratrici
si confrontano con situazioni problematiche e difficili che devono superare da
sole. Nel caso di Prato, ciò ha
portato purtroppo ad esiti drammatici: la ragazza 24enne ha confessato
l’omicidio dell’anziana che accudiva in un raptus di follia. Questo episodio,
come altri, è da condannare, ma non possiamo giudicare in modo approssimativo
situazioni che non conosciamo e dare giudizi sommari, sino a condannare una categoria.
Una persona può attraverso momenti molto difficili, come quello del caso in
questione, in cui la ragazza - come si apprende dalla stampa e dalle sue
amicizie - aveva già tentato il suicidio e soffriva un forte sentimento di
solitudine.
Casi come questo
devono semmai interrogarci sull’organizzazione
del lavoro domestico di cura in ambito familiare, sui ritmi di lavoro
molto intensi e stressanti, sulla vita vissuta dalle lavoratrici che restano in
casa accanto ai nostri anziani fatta di molte solitudini, senza riuscire ad
avere dei supporti validi con cui parlare e con cui confrontarsi.
La solitudine e lo
stress sono maggiormente diffuse quando non c’è un rapporto stretto con la
famiglia dell’assistito, quando si è rivestiti totalmente di responsabilità (che
magari neanche competono da contratto), e che in alcuni casi possono comportare
situazioni di disagio psichico anche da parte dello stesso lavoratore. Già si
rilevano casi di burn-out (esito patologico da stress che riguarda chi esercita
professioni d'aiuto, ndr) di assistenti famigliari in Italia che ritornando in
patria fanno percorsi di recupero dopo aver lavorato come “badanti” in Italia
in situazioni di troppo stress (la chiamano “sindrome Italia”). Per questo la
formazione nel settore del lavoro domestico, e in particolare per quanto concerne
l'assistenza alla persona quando colpita da patologie fisiche e/o cognitive rilevanti,
è fondamentale, per acquisire le competenze e le tecniche per riuscire a
gestire situazioni assistenziali complesse, e per arrivare anche a capire qual
è il limite oltre il quale, l'assistenza in casa non è praticabile, o che una ‘persona
sola e da sola’, non può sostenere il lavoro di cura richiesto.
E' importante che vi
sia una rete a supporto delle assistenti familiari e con cui ci possa essere uno
scambio e un confronto come i servizi sociali presenti sul territorio,
con i medici di base, soprattutto quando la situazione dell'anziano che si cura
si aggrava, o quando si tratta di una persona che non ha reti familiari alle
spalle. Altro punto di riferimento
sono naturalmente le associazioni come la nostra che possono aiutare, non
solo per un accompagnamento e una tutela del lavoro, ma che cercano di dare un
supporto durante i momenti
difficili della relazione lavorativa.
Rimane essenziale non delegare totalmente i
compiti di cura, ma
seguire il rapporto di lavoro e fare in modo che la lavoratrice sia sostenuta
dalla famiglia, e che possa essere un punto della rete dei servizi
socio-sanitari.
Un insieme dunque di accortezze
che vanno precedute da una riflessione sui bisogni della famiglia e sul livello
di gravità dell’assistito, in base ai quali cercare una persona che
abbia una professionalità che corrisponda alle necessità.
La questione comunque
è molto seria e meriterebbe un'attenzione soprattutto dal settore pubblico, non
tanto quando avvengono casi di cronaca, ma per valorizzare e riconoscere un
settore fondamentale del mondo del lavoro nel nostro Paese.
Raffaella
Maioni
Redattore
Sociale ha approfondito il tema ponendo la questione a vari esperti
del settore.
Per approfondire potere
leggere le varie opinioni clicclando su “Opinioni sul tema” o di seguito
la loro sintesi.
- Badanti
sotto stress: "Serve una rete contro la loro solitudine" Il
ricercatore Sergio Pasquinelli (Irs) commenta gli ultimi casi di omidici
di anziani ad opera delle loro assistenti straniere. "Gli sportelli che
mettono a contatto domanda e offerta di aiuto familiare sono una prima
sentinella”
- L’assistenza
ai disabili gravi e il timore di affidarsi a una "badante" Marina
Cometto, madre di una donna affetta da sindrome di Rett e animatrice
dell’associazione Claudia Bottigelli. "Un’assistenza di questo genere
andrebbe pagata adeguatamente, non con una paga oraria di 6 euro"
- Badanti
sotto stress: le frustrazioni per un lavoro non gratificante Todeschini
(Anolf): “L’assistenza familiare è un assurdo tutto italiano. Occorre far
emergere appieno questo servizio e migliorare la professionalità”
- Disturbi
psichici tra le “badanti”: pesano lontananza dalla famiglia e carichi di lavoro
Parla Ilaria Tarricone, coordinatrice del Centro di ricerca di psichiatria
transculturale e della migrazione G. Devereux dell’Università di Bologna:
"Ma le migranti hanno personalità più forti del normale. Non esiste un
'problema badanti'"