8 aprile 2014

L'interesse superiore del minore: un nostro punto di vista

l ministero della Giustizia interviene per chiarire la vicenda dei certificati antipedofilia richiesti obbligatoriamente a partire da lunedì 6 aprile per i lavoratori che hanno a che fare con i minori.
I tempi ristretti e il costo della certificazione da richiedere avevano creato preoccupazione in vari settori: scuola, volontariato e non da ultimo il settore domestico per l’assunzione di babysitter.
In allarme i presidi e dirigenti scolastici, responsabili di molte organizzazioni del terzo settore che temono di andare incontro a spese eccessive o alle sanzioni previste dal decreto legislativo numero 39 che recepisce la direttiva europea per la "lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile".
Il provvedimento, infatti, obbliga il datore di lavoro che intenda "impiegare al lavoro una persona per lo  svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con  minori" a richiedere, prima della stipula del contratto, il certificato penale per accertarsi che il soggetto da impiegare non sia stato già condannato per reati contro i minori: prostituzione minorile, pornografia minorile, pornografia virtuale, turismo sessuale e adescamento dei minorenni. Soprattutto perché in caso di inosservanza si rischia una sanzione amministrativa da 10mila a 15mila euro.
Ora il ministero della Giustizia elimina gran parte dei dubbi, chiarendo intanto che i tantissimi volontari che operano a titolo gratuito presso parrocchie, onlus o associazioni sportive, e dunque non sono titolari di un vero e proprio contratto di lavoro, non sono tenuti all'accertamento previsto dal decreto legislativo.
"L'obbligo di tale adempimento sorge soltanto ove il soggetto che intenda avvalersi dell'opera di terzi - soggetto che può anche essere individuato in un ente o in un'associazione che svolga attività di volontariato, seppure in forma organizzata e non occasionale e sporadica  - si appresti alla stipula di un obbligo. Non sorge, invece, ove si avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all'interno di un definito rapporto di lavoro". In altre parole, catechisti, volontari che operano presso associazioni, organizzazioni scout e società sportive non sono soggetti al 'controllo' previsto dal decreto del 4 marzo.
Altra precisazione determinante è la non retroattività della disposizione: l'obbligo del certificato riguarda dunque solo i nuovi assunti e non il personale già dipendente. In attesa del documento, i datori di lavoro potranno accettare un'autocertificazione sostitutiva in cui il lavoratore dichiara di non essere stato condannato per i reati contro i minori.
In questi giorni, prima che arrivassero le precisazioni del ministero, erano scese in campo anche la Cei, il Coni e le associazioni dei datori di lavoro domestico che hanno espresso preoccupazioni riguardo a colf e baby-sitter. Attendiamo chiarimenti in merito.

Forse rendere tale certificazione obbligatoria per tutti non era la ratio neanche della Direttiva2011/92/UE che all’art 40  recita:
Qualora sia reso opportuno dal pericolo che rappresentano e dai possibili rischi di reiterazione del reato, gli autori del reato dovrebbero, se del caso, essere interdetti, in via temporanea o permanente, almeno dall’esercizio di attività professionali che comportano contatti regolari e
diretti con minori. I datori di lavoro hanno il diritto di essere informati, al momento dell’assunzione per un impiego che comporta contatti diretti e regolari con minori,
delle condanne esistenti per reati sessuali a danno di minori iscritte nel casellario giudiziario o delle misure interdittive esistenti. Ai fini della presente direttiva, la nozione di «datore di lavoro» dovrebbe contemplare anche le persone che gestiscono un’organizzazione operante in attività di volontariato attinenti alla custodia e/o alla cura dei minori e che prevedono un contatto diretto e regolare con essi. È opportuno che il modo in cui sono fornite tali informazioni, come ad esempio l’accesso tramite l’interessato, nonché il contenuto preciso delle informazioni, il significato delle attività di volontariato organizzate e il contatto diretto e regolare con i minori siano definite conformemente al diritto nazionale.

Vediamo che si parla di diritto di informazione e non di obbligo di richiesta da parte del datore di lavoro e che questo concetto “dovrebbe contemplare” anche altre forme organizzative.
Se dunque l’interesse superiore del minore deve risultare preminente, forse trovare una formula che non escluda nessuna categoria, ma che preveda la discrezionalità di poter chiedere tale certificazione “qualora sia reso opportuno”  per chi si occupa di minori, poteva o può essere una via.

Tra tanti esclusi, a questo punto dobbiamo infatti chiederci chi dovrà alla fine fare questo certificato e se la norma così non tradisca il suo senso vero … di maggior tutela del fanciullo.