23 ottobre 2014

Colf: il riposo pomeridiano va goduto fuori casa

Ho assunto una assistente familiare, a tempo pieno, che vive con mia madre: quali sono i riposi giornalieri che devo garantire?

L’art. 15 del Ccnl, al comma 4, stabilisce che “Il lavoratore convivente ha diritto ad un riposo di almeno 11 ore consecutive nell'arco della stessa giornata e, qualora il suo orario giornaliero non sia interamente collocato tra le ore 6.00 e le ore 14.00, oppure tra le ore 14.00 e le ore 22.00, ad un riposo intermedio non retribuito, normalmente nelle ore pomeridiane, non inferiore alle 2 ore giornaliere di effettivo riposo”.
La norma, dunque fissa un numero di ore di riposo minimo da assicurare alla lavoratrice, undici consecutive e almeno due intermedie, “normalmente” nelle ore pomeridiane, ma niente vieta che la lavoratrice e il datore di lavoro si accordino per godere del riposo in altra parte della giornata, ad esempio nella mattina, sempre che alla lavoratrice sia assicurata la possibilità, in quelle ore, di dedicarsi alle proprie attività personali (fare una passeggiata, leggersi un libro, ecc..).

Per sottolineare questo aspetto, il nuovo Ccnl ha inserito un paragrafo all’interno del comma 4 che prevede espressamente: “Durante tale riposo il lavoratore potrà uscire dall’abitazione del datore di lavoro, fatta salva in ogni caso la destinazione di tale intervallo all’effettivo recupero delle energie psicofisiche”.
Succede infatti spesso che il datore di lavoro esiga il godimento di questo riposo all’interno dell’abitazione, soprattutto nei casi di non autosufficienza dell’anziano, onde evitare di provvedere alla sostituzione della lavoratrice, oppure, dall’altro lato, che il lavoratore, utilizzi queste ore per effettuare un turno di lavoro altrove.

In entrambi i casi si verifica una violazione degli obblighi contrattuali: le due (o più) ore di riposo devono essere dedicate al riposo della lavoratrice, e a seconda di come viene svolta, anche l’attività di mera vigilanza può essere considerata attività lavorativa, se non consente alla lavoratrice di dedicarsi ai propri affari, e soprattutto se la stessa deve rimanere “a disposizione” del datore di lavoro.