10 settembre 2014

Dubbi sulla Maternità? Tutela ridotta per le colf

Sono stata assunta presso una famiglia come baby sitter. In caso di maternità ho le stesse tutele di una lavoratrice dipendente di una Società?

Il rapporto di lavoro domestico è considerato dal nostro ordinamento un “rapporto di lavoro speciale”, considerato il particolare contesto, estraneo alla vita dell’impresa, in cui la prestazione viene resa.
Per questo la Legge 151/2001, sulla tutela della maternità, dedica espressamente l’art. 62 al “lavoro domestico”, asserendo che ad esso si applicano solo alcuni degli articoli dedicati alla tutela della maternità.

In particolare, non si applica alle lavoratrici domestiche il divieto di licenziamento, previsto dall’art. 55, dal concepimento fino al compimento di un anno di età del bambino, così come manca il riconoscimento della c.d. astensione facoltativa, fruibile, per tutte le altre lavoratrici, nei sei mesi successivi al termine di quella obbligatoria, e non sono riconosciuti nemmeno i c.d. “permessi di allattamento” nè le assenze giustificate dalla malattia del bambino fino a tre anni di vita.

Alla lavoratrice domestica madre è riconosciuto, dunque, solo il periodo di astensione obbligatoria, durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto, salvo eventuali anticipi, nel caso di pericoli per la gravidanza ad esempio (art. 17 Legge 151/2001), o posticipi (in applicazione della flessibilità del congedo) previsti dalla normativa di legge; per il periodo eventualmente intercorrente tra tale data e quella effettiva del parto; durante i 3 mesi dopo il parto. Per tale periodo la lavoratrice potrà fare domanda all’INPS per ottenere l’indennità di maternità, che coprirà l’80% della retribuzione globale di fatto, ed è assistita dalla contribuzione figurativa: durante tale periodo il datore di lavoro sospenderà infatti sia la contribuzione che la retribuzione, ad esclusione di ferie e TFR, che saranno a carico dell’INPS.

Ad esso si affianca il divieto di licenziamento, che però inizia con il concepimento (purchè intervenuto nel corso del rapporto di lavoro) e si limita ad estendersi fino alla fine del congedo obbligatorio (3 mesi dopo il parto), e non fino all’anno di età del bambino.
Il nuovo Ccnl ha rafforzato la tutela contro i licenziamenti della lavoratrice madre, introducendo un nuovo art. 39 secondo cui: “I termini di preavviso di cui al comma precedente, saranno raddoppiati nell’eventualità in cui il datore di lavoro intimi il licenziamento prima del trentunesimo giorno successivo al termine del congedo per maternità”. Quindi nel caso in cui, al termine del congedo obbligatorio, alla scadenza dei tre mesi successivi al parto, il datore di lavoro intimi il licenziamento entro i successivi 30 giorni, dovrà osservare un preavviso doppio rispetto a quello ordinario.