7 dicembre 2011

“Le Colf delle Acli si raccontano…sogni, ansie e speranze”

(di Rita Ricci)

J. Fussli - Solitudine all'alba
 
Nel Circolo di Macerata, accanto alle nuove Colf straniere, continuano a ritrovarsi le vecchie Colf italiane. Grazie alla sensibilità del Comune di Macerata, che ha messo a disposizione dei piccoli locali nel centro storico, le Colf hanno un luogo dove amano ritrovarsi per raccontare e ricordare. Proprio da questo loro desiderio è venuta l’idea di dar vita ad una iniziativa più sistematica, con l’obiettivo di raccogliere in forma scritta memorie e storie di vita.
Durante l’incontro, introdotto e coordinato da Cornelia Lanzani, responsabile regionale delle Donne delle Acli, è stato presentato il primo risultato di questa iniziativa: una lunga intervista scritta che è stata raccolta da Rita Ricci, del Coordinamento provinciale delle Donne Acli di Macerata.
Più che intervista quella realizzata è proprio una storia di vita: è la storia di Antonietta, nata a Cingoli nel gennaio 1927 e ottava di undici figli.

Ammalatosi il padre, come tante altre bambine del tempo, Antonietta è costretta a lasciare la casa paterna, per andare a lavorare a Macerata. Dorme in una stanza di passaggio su un pagliericcio, mangia dopo i “signori”, di notte piange nel suo fazzoletto della spesa con il quale ha portato il suo corredo: le mutande e una maglietta.
Poi va a lavorare in un’altra casa dove rimarrà per 54 anni.
Il lavoro in questa famiglia la ha condanna alla solitudine. Infatti i suoi padroni vivono isolati e assorbono tutta la sua vita; non esistono spazi per il suo privato, per i suoi affetti, per le sue amicizie. Assiste continuamente, fino alla morte, la sua padrona; non esce mai, una sua vicenda sentimentale viene troncata sul nascere, unico suo divertimento le visite all’ospedale, perché il suo padrone fa parte dell’Associazione S.Vincenzo.

Come spesso è successo per tante “domestiche”, la vita dei padroni è più importante ed esclude una vita autonoma ai loro dipendenti; così avviene ad Antonietta che, secondo uno strano, ma ricorrente rapporto, non ha più lo stipendio, perché “fa parte della famiglia”. La sorte dei suoi familiari non è migliore: le sorelle Oliva, Andreina, Mercedes sono intanto emigrate in Argentina; il fratello più piccolo viene messo in un Istituto e dopo la prima media andrà a lavorare a Torino.

Qual è il bilancio di questa vita di lavoro recluso?

Molto amaro se Antonietta pensa che alla sua vita di dedizione totale ad una famiglia e ai suoi 40 anni di versamenti non corrisponde oggi che una pensione di 539 euro; molto amaro se pensa che alla sua vita di solitudine sono mancati l’affetto  e la vicinanza della sua famiglia, le amicizie e la possibilità di crearsi una propria famiglia, se pensa che nessuno le ha mai parlato dei suoi diritti di persona, di lavoratrice e di donna.
Ma è anche un bilancio positivo se oggi riesce con consapevolezza a guardare e analizzare il suo passato e ad individuare anche tutte le capacità e le competenze che ha accumulato: la cura delle persone anziane, la generosità nei confronti dei suoi familiari, che ha cercato di aiutare fino alla fine, la capacità di curare la casa e l’amore per la cucina, quasi un’arte.
Per questo ricorda oltre che i suoi pianti in silenzio anche il canto con cui spesso accompagnava il suo lavoro.