16 settembre 2011

In Italia più di un milione di "badanti"

di Davide Pelanda
«Da quando sono arrivata in Italia nel 2008 ho lavorato prima ad Alba con una coppia di anziani che mi hanno valorizzata e apprezzata, poi a Reggio Emilia per tre mesi sostituendo un'altra ragazza rumena. Li ho imparato l'italiano perché alla signora piaceva guardare molto la tv, ho imparato anche la cucina italiana. Dopo ho cominciato a conoscere i centri d'ascolto per cercare ospitalità e lavoro. Finalmente ho trovato, in una frazione chiamata Pantano (Reggio Emilia), una coppia di anziani: lui paralizzato e lei abbastanza autosufficiente. Ho poi preso contatto con un'amica di Torino e così sono arrivata qui nel giugno del 2009».
Amy è una ragazza rumena, al suo Paese faceva l'infermiera: qui invece fa la badante, tecnicamente si chiama Assistente Familiare.
Vuoi per l'invecchiamento della popolazione italiana, vuoi per il conseguente aumento del numero di anziani non più autosufficienti che hanno bisogno di cure domestiche, la richiesta di personale per l'assistenza casalinga è in continuo aumento: si può tranquillamente dire che ormai le badanti sono un pilastro del welfare state del nostro Paese.
Ma come vengono reclutate? Come si arriva ad avere una badante in caso di necessità? Sempre più spesso con il passaparola tra amici e conoscenti, oppure rivolgendosi ad enti caritatevoli come la Caritas, o alle parrocchie, oppure in rari casi attraverso agenzie on-line, siti web o a servizi messi a disposizione da Enti pubblici.

«Ci sono molti siti internet. - dice Raffaella Maioni, responsabile nazionale di Aclicolf, la più grande associazione di categoria che si occupa dei lavoratori domestici - In Italia però abbiamo i centri per l'impiego che dovrebbe avere la funzione di cercare lavoro. Evidentemente però, in questo specifico settore, o non si è investito abbastanza o non nel modo giusto. Penso anche al costume malsano italiano: essere clientelari, cercare amicizie, passaparola valgono di più e gli stranieri si sono abituati a queste forme per cercare lavoro. Naturalmente questo settore è molto delicato e sensibile: andare in un ufficio freddo dove compili una modulistica e non c'è nessuna relazione è ben diverso dall'essere accolti nella parrocchia perché si trovano delle persone che fanno questo lavoro perché ci credono, perché vogliono aiutare, perchè appunto anche la famiglia che fa richiesta della badante ha bisogno di confrontarsi sull'argomento. In questo settore chi opera sa benissimo che il datore di lavoro ha bisogno di maggiore assistenza che non è solo compilare un modulo. Soprattutto se l'assistenza è per una persona non autosufficiente, magari è malato e si acutizza la malattia nascono delle nuove necessità. Il problema è però che non c'è una vera e propria qualifica professionale per questo settore».
Anche alcuni Comuni e altri enti pubblici istituiscono appositi albi e dei corsi per Assistente Familiare. E' il caso dello Sportello Badanti di Milano e dell' "Elenco badanti qualificate" istituito nel 2005, il tutto per offrire «ad anziani e famiglie che cercano persone con le quali stabilire un rapporto di lavoro per l'assistenza a domicilio. Famiglie e anziani vengono messi in contatto con le persone più adeguate alle loro esigenze, fra le quali possono scegliere con chi stipulare un contratto di lavoro» così come si legge nel sito del Comune di Milano.
«Non essendoci una direttiva nazionale in tal senso – sottolinea Maioni di Aclicolf - alcuni comuni, alcune regioni e alcune province si sono organizzate come hanno voluto a macchia di leopardo in tutta Italia, anche sulla base dei finanziamenti messi a disposizione. Alcuni comuni hanno incentivato, oltre ai corsi qualificanti, l'assunzione delle colf per la lotta al lavoro nero, dando un sussidio economico alle famiglie per pagare ad esempio i contributi. Però non è stata una scelta a livello nazionale diffusa su tutto il Paese».
Secondo i dati dell'INPS le collaboratrici domestiche (categoria che racchiude le baby sitter, le colf e le badanti) in Italia sono 1 milione e mezzo (dati Censis 2010 incrociati con quelli della Caritas nazionale ndr), ma sono solo circa 700 mila gli italiani che pagano loro regolarmente i contributi previdenziali e che assumono le badanti, perlopiù straniere, per l'assistenza ad un loro familiare anziano e magari non pienamente autosufficiente.
Rimane però una zona d'ombra fatta di lavoro nero, dove la collaboratrice domestica non ha contratto: secondo l'Aclicolf la cifra si aggirerebbe sui 900 mila posizioni lavorative non regolarizzate.
«C'è anche una zona di lavoro "grigio" – dice sempre la responsabile nazionale di Aclicolf - cioè contrattualizzati al minimo dove ad esempio non vengono dichiarate tutte le ore da svolgere: una sorta di convenienza al ribasso da entrambe le parti, dove il lavoratore si vede riconosciuta magari subito un quantum maggiore fuoribusta, mentre dall'altro il datore di lavoro risparmia nei contributi. Ciò avviene soprattutto in questo momento di crisi economica: in questo modo alle famiglie sembra di risparmiare anche per il fatto che non ricevono aiuti statali considerevoli».
Ma quanto deve versare il datore di lavoro come contributi? Risponde sempre la responsabile di Aclicolf: «Una media potrebbe andare dai 350 euro per 25/30 ore a 600 euro se vengono dichiarate tutte le 40 ore»..
Il carico di ore di lavoro settimanali dipende poi dal tipo di contratto: per le badanti non conviventi sono 40 ore con un massimo di 8 ore giornaliere, per quelle conviventi invece sono 54 ore lavorative con 36 ore di riposo settimanale.
Inoltre il lavoro di badante viene svolto per circa il 35% da donne italiane, mentre per il 65% da donne straniere. All'interno di questo ultimo dato, secondo l'ultimo rapporto del Censis, la maggior parte delle collaboratrici domestiche è immigrata (71,6%) e proviene dai Paesi dell'Est europeo: per il 19,4% dalla Romania, il 7,7% dalla Polonia e il 6,2% proviene dalla Moldavia. Inoltre c'è una percentuale del 9% di donne proveniente dalle Filippine.
Qualche tempo fa si potevano poi vedere situazioni di badanti clandestine che per farsi regolarizzare sposavano il vecchietto che assistevano. Ora invece nella legge della cosiddetta manovra finanziaria del 2011 in materia previdenziale al comma 5 dell'articolo 18 dispone, a partire dal 2012, la riduzione della pensione di reversibilità nei casi in cui il matrimonio sia stato contratto dal pensionato con più di 70 anni di età ed in presenza di un divario anagrafico tra i coniugi di almeno 20 anni.
«E' conosciuto come "provvedimento antibadanti" – dice ancora Raffaella Maioni di Aclicolf - Ci sono però tanti politici, tanti avvocati, tanti medici e altri che hanno fidanzate molto più giovani di loro e non sono le loro colf.
Sulle badanti straniere anche la questura è abbastanza seria, vengono fatte delle valutazioni sui matrimoni. Ma chi va poi a sindacare se tra le due persone non ci sia veramente amore? Ho conosciuto degli anziani che stavano con una persona conosciuta in tarda età e straniera che, nei momenti difficili, sono state aiutate mentre magari i figli li avevano abbandonati. C'è bisogno di colmare questa solitudine, si scarica questa colpa sull'anello più debole, sulla donna straniera e su questa figura professionale. Molto spesso i figli vorrebbero che i genitori rimangano da soli».
In ogni caso della persona che ci si mette in casa per assistere un loro caro la famiglia sa ben poco, sono poco informate sul loro titolo di studio o sul passato professionale lavorativo delle badanti scelte. Molto spesso i figli dell'anziano padre non autosufficiente sono magari costretti a incontrare decine e decine di persone prima di trovarne una disponibile ed affidabile per lavorare per i loro cari. E per l'anziano da accudire è difficile memorizzare i loro nomi di battesimo.
Purtroppo poi anche il lavoro di badante è da considerarsi "a termine", così come ci testimonia Ana Cecilia, altra badante sudamericana, regolarizzata nel 2009: «Purtroppo in questo lavoro ci si rende presto conto della precarietà lavorativa dettata anche dalla natura: le persone assistite si trovano spesso nella fase terminale della loro vita, è drammatico vedere queste persone lottare contro l'infermità e spegnersi giorno dopo giorno, persone che sono diventate a poco a poco parte della tua vita. Ti affezioni a loro come fossero un tuo genitore, un fratello o un amico ed un giorno ci lasciano; sei molto triste per la loro morte, un po' muori anche tu, però il giorno dopo tutto deve ricominciare... anche la ricerca di un nuovo lavoro».
«Penso che sia uno dei lavori tra i più precari – dice in ultimo la responsabile Aclicolf Maioni - quando c'è il decesso o nel caso in cui cambia il datore di lavoro che diventano poi i figli, il problema c'è. Soprattutto quando il lavoratore ha prestato il suo servizio in regime di convivenza: alla morte dell'anziano o malato, la badante si trova senza lavoro e senza casa mettendo le persone in condizioni di difficoltà, e magari devi mandare i soldi alla tua famiglia di origine all'estero».